Vellutata per cena

Sbuccia, sbuccia. Ma quanto è dura questa buccia?
Ha sbagliato. Se ne rende conto solo ora, dopo un anno di matrimonio. Glielo diceva sua madre (matrigna in realtà): “Non avere fretta. Qualcosa salterà fuori.” Ma otto mesi a preparare curriculum, stilare lettere di presentazione, cercare annunci e presentarsi a colloqui inconcludenti l’avevano stufata.
Incidere la polpa è ancora più faticoso: il coltello continua ad incastrarsi ed è una tragedia tirarlo fuori.
Anche le sue sorelle (sorellastre in realtà), due brillanti e filantrope donne in carriera, cercavano di metterle coraggio: “Non essere precipitosa, c’è tempo per accasarsi, prova prima a stabilizzarti con un impiego”.
Ma lei, lei era troppo innamorata del suo Carlo Azzurro, il più bel e facoltoso ragazzo della città. “C’è crisi, non si trova niente.”, le ripeteva. “Non ti serve un lavoro. Sposiamoci! Vedrai, ti farò vivere da signora!”
L’aveva portata alla cena di gala della sua azienda. E per l’occasione: le Liu Jo di cristallo; lo sfarzoso vestito sbrilluccicante della famosa stilista Paola Turchese; la limousine. Come in una favola. Allo scoccare della mezzanotte aveva deciso: quello era l’uomo giusto.
Sbagliato.
Era uno scansafatiche, snob, tanto taccagno da non voler tirare fuori uno spicciolo per una donna delle pulizie. La cena però la pretendeva in tavola, alle ore 20. Precise.
Il coltello infierisce feroce sui poveri cubetti arancioni, appena prima che finiscano in pentola.
Cinque anni di veterinaria buttati all’aria. Il sogno di curare piccoli animaletti teneri e indifesi ridotto in cenere, quella che bisognava ancora spazzare dal camino.
Si sente come quell’ortaggio: indurita e senza prospettive, se non quella di finire nel mixer e di diventare una inconsistente e insipida vellutata di zucca.

La complicata vita di Elisandro

Quella notte avevo bevuto a fondo. Mi girava la testa per quanto avevo fatto in fretta. La fame mi divorava, quindi avevo dovuto buttarmi sul primo che passasse. Non mi era andata tanto male comunque: una giovane donna sui 25 anni nel pieno della salute. E nel pieno della vita. Era stato un gioco da ragazzi avvicinarla con la solita scusa della sigaretta da accendere. Il mio sorriso rassicurante e la faccia da bravo ragazzo ricevuta in dono dai piani alti, forse per ripagarmi del resto che non mi è stato dato,  avevano fatto il resto. Finora nessuna aveva dato segno di aver timore a condividere un pezzo di strada con me. E meno male, altrimenti avrei fatto la fame.

«Mi dispiace non poterti essere utile», aveva risposto la biondina prescelta.

«Dai va bene così, almeno evito di fumarla. Vedi: mi stai facendo un favore. In realtà mi sei più utile di quanto credi», avevo detto facendo l’occhiolino e suscitando una leggera risata di lei. Sapessi, mia cara.

«Scusami se ti sembro invadente, ma non mi sembra una bella strada da fare di notte da sola.» procedevo come da copione. «In che direzione vai? Magari ti accompagno per qualche isolato, giusto per allontanarci da qui».

«Grazie, ma non vorrei farti fare della strada inutilmente. Io vado verso corso San Massimo.»

«Perfetto! Io sto in via Mazzini.»

Certo: nascondere i tic nervosi che la sete mi procura è ogni volta una gran rottura di palle. Ma ormai l’ho fatto talmente tante volte da essere perfettamente padrone di me stesso, anche dopo giorni che non mi nutro. Sono diventato il campione mondiale di “dissimula che le salteresti addosso non per fare quello che ogni ragazzo normale della tua età farebbe, ma solo per scolarla come un fiasco di vino”. La sensazione che mi suscita quel liquido corposo e caldo che scende giù per la gola e mi riempie lo stomaco come il più squisito dei brandy (non ho idea di che gusto abbia il brandy, ma fa tanto figo dirlo) mi ripaga abbondantemente di tutti gli sforzi della caccia. Il problema sorge dopo: devo trovare qualcosa con cui ripulirmi la bocca e il collo ma, soprattutto, devo sbarazzarmi del cadavere.

Per il primo inconveniente del mestiere – fatevelo dire da chi da un anno a questa parte è diventato un esperto – di certo non bastano i fazzolettini che gli altri usano per soffiarsi i loro nasini raffreddati. Tre pacchi non bastano. Una volta in una situazione di emergenza ho dovuto usarli e mi sono ritrovato con pezzetti di carta appiccicati in ogni dove in volto. Ogni santa notte mi riprometto di comprare delle salviette umidificate, di quelle che le donne usano per struccarsi. Anche in quel caso però me ne servirebbero a dozzine. Dovrei comprarne un formato famiglia o dei pacchi scorta all’ingrosso. Magari su ebay. Devo provare a cercare. Di solito risolvo aprendo il cappotto della vittima, pulendomi con la sua maglia e richiudendo per nascondere tutto. Ora che è inverno poi, una volta ripulito alla meglio, alzo la sciarpa fin sopra il naso ed entro nel primo bar a comprare una mezza naturale con cui lavare via gli ultimi residui rossi. Non posso di certo girare per Torino con il muso sporco di sangue!

Per il secondo problema in realtà non ho ancora trovato una soluzione definitiva. I due fiumi della città mi offrono un nascondiglio sicuro per i corpi settimanali che produco, ma trasportarli fin lì è un macello. Vi sarete immaginati che io abbia l’aspetto di un aitante giovane dal fisico prestante e i muscoli pompati.

Magari avete presente Angel di “Buffy l’ammazzavampiri”.

Acqua, ragazzi miei.

Damon di “The vampire diaries”?

Cascate del Niagara, proprio.

Edward stocavolo Cullen? Fuochino.

Diciamo che la definizione corretta da darmi sarebbe: esile. Sono alto e magro e trascinarmi dietro un corpo di 50 chili per me non è propriamente una passeggiata. Le donne di solito me le appoggio addosso e faccio finta che camminiamo stretti abbracciati come due innamorati. Dopo 500 metri non sento più le braccia, ma dettagli. Con gli uomini no, non si può fare. Non perché io sia omofobo o roba simile, ma semplicemente perché, spiegatemi, come me lo carico addosso un peso massimo di 90 kg? E credetemi che mi è successo. Non si possono sempre avere ragazze magroline. A volte i pasti devono essere più sostanziosi e lì ci scappa l’uomo palestrato.

Quella notte per l’appunto stavo andando verso la Dora. Dovete sapere che la Dora, come tutte le donne, fa un po’ la stronza: ci sono dei punti in l’acqua è talmente bassa da vederne il fondale. Voi lo nasconderesti lì un corpo? Quindi se decidi per la Dora devi conoscere perfettamente il punto in cui le acque sono più profonde e sperare, pregando tutti i santi in cielo e in terra, che quella perfida non spinga il corpo dove è facilmente visibile.

«Ma non vanno comunque a cercare nei fiumi un volta denunciata la scomparsa di tutte le persone che fai fuori?», vi starete chiedendo. E io cosa cavolo ne so? Una volta eliminata la prova della mia cena, per me è finita, non posso preoccuparmi di chi mangio. Di cosa mi tocca campare altrimenti? Di aria? Benvenuti nel bordello che è la mia vita!